Nelle nostre più recondite fantasie e paure forse saremmo stati pronti ad un terremoto, uno tsunami o ad una guerra nucleare, ma a quello che sta accadendo proprio no.
Un invisibile e microscopico virus paralizza tutto il mondo: dalla libertà personale alle più fisiologiche attività dell’uomo, non ultimo il suo diritto a lavorare per cercare di sopravvivere, tutto è limitato.
Il virus che ha come sua caratteristica di essere presente da sempre, di convivere con l’umanità dai tempi di Neanderthal e che, a quanto pare, ha anche collaborato con l’evoluzione.
Ma questo virus ha sicuramente qualcosa di particolare e peculiare. È stato in grado di fare breccia nell’immaginario collettivo: si è fatto portatore di un messaggio globale ed è stato capace di farsi ascoltare da tutto il mondo.
E questo a dispetto della sua reale pericolosità.
53mila morti ad oggi, dalla diffusione del contagio.
Il suo fratello innocuo, l’influenza H1N1, ne ha fatti, nello stesso periodo del 2019, 90mila solo in africa (OMS) e suo cugino, virus dell’epatite, 210mila (in 3 mesi).
La malaria altri 90 mila stimati in un periodo simile ogni anno.
In Italia nel 2016 sono morte 24mila persone per l’influenza.
Le mie figlie e i loro compagni del liceo mi espongono questi dati prima di chiedermi cosa stia succedendo veramente. È possibile che esista una così grande discrepanza tra i dati e la reazione di paura? Qual è la realtà? Non andiamo più a scuola, non possiamo vedere i nostri amici, se facciamo una passeggiata gli adulti chiamano i vigili.
A noi sembra tutto così ASSURDO.
Papà, ma si può dire?
Tutto d’un tratto mi trovo in difficoltà. Mi sento interpellato come padre oltre che come medico. La situazione è delicata, estremamente difficile, ed apre più a dubbi che a possibili risposte. I giornali e la televisione danno solo bollettini di guerra, la gente è giustamente spaventata e la diffidenza ed il distacco si stanno sempre più diffondendo. Poi ci sono i malati obbligati a viversi la sofferenza in solitudine, i medici e la sanità in difficoltà. Ma queste tragedie richiedono davvero un prezzo così alto da pagare da parte di una generazione che non è a rischio? Cerco a fatica di trattenere la mia preoccupazione che va alle drammatiche conseguenze economiche future ed al peso che graverà sulle loro spalle.
Potrei provare a spiegare loro che siamo immersi nella più grande esperienza collettiva di proiezione.
Come avviene in ognuno di noi in determinate situazioni, oggi sembra che l’umanità intera sia coinvolta nel proiettare inconsciamente quella che Jung chiamerebbe la propria Ombra sul Coronavirus.
Dai governanti agli scienziati fino a noi, comuni mortali, sembra che tutti siano inconsciamente spaventati, terrorizzati e paralizzati dalla indicibile paura di avere in questi decenni attaccato e distrutto il sistema Mondo.
È come se nel nostro profondo riconoscessimo di essere la causa del buco nell’ozono, dello scioglimento dei ghiacciai, delle guerre per lo sfruttamento del petrolio e della sofferenza dei popoli obbligati a migrare e morire rifiutati.
Non potendolo ammettere, unanimemente lo proiettiamo sulla minaccia del virus. Non siamo noi, ma un essere invisibile esterno il vero distruttore e violento. Il fatto è che la proiezione non può essere ritirata, non si può incominciare ad ammettere timidamente che temiamo di essere noi i responsabili, fino a quando la situazione non creerà abbastanza disagio. Ci vorrà tempo. E quando ci accorgeremo di essere tutti impoveriti sarà il momento della resa dei conti: o prenderemo coscienza dei nostri errori e atteggiamenti distruttivi o non riusciremo a gestire la rabbia che ne scaturirà, con conseguenze più pericolose del Coronavirus.
Se questa suggestione avrà un che di fondato lo potremo valutare solo tra qualche settimana o mese, quando dovremo interfacciarci con i problemi pratici che la vita, inesorabilmente, ci metterà di fronte.
Fino ad allora mi rendo conto che anche questo pensiero, che potrebbe essere consolatorio, lo è poco ed è scarsamente di supporto per i miei figli ed i ragazzi della loro generazione.
Non ci resta che condividere la difficoltà di sostenere il dubbio, sospendere ogni ricerca di verità.
In altre parole, riuscire a vivere e a stare anche in questa situazione “offensiva del senso comune”, assurda appunto.
Ma, oggi, si può dire che è Assurdo?
Difficile spiegare ai nostri figli quello che sta succedendo. Anche perché non lo sappiamo ancora, perlomeno non per intero. Difficile prevedere quello che succederà tra settimane, mesi, tra un anno. Intendo anche e soprattutto economicamente e socialmente a livello mondiale, una volta che il contagio si sarà ridotto o sarà perlomeno sotto controllo.
E forse non serve nemmeno fare paragoni tra i numeri di morti causati da questo virus e quelli provocati da virus simili o del tutto diversi. Che si tratti di qualcosa di diverso lo dimostrano i mezzi militari che trasportano le bare delle vittime di Bergamo, piuttosto che le fosse scavate a New York, a Hart Island (orrore presente su orrore passato). O ancora quello che succede nei paesi del terzo mondo, di cui non abbiamo dati o abbiamo dati palesemente insabbiati, vedi la situazione in Ecuador.
E ancora immaginare le persone anziane morire soffocate senza nessuno accanto - ho in mente un resoconto dei primi giorni sul Corriere dove una signora racconta di aver detto al padre “so che sei un fifone, ma non avere paura” e non l’ha più visto, dopo quattro giorni era morto – è terribile. Anche se forse migliaia di anziani nella nostra società muoiono sempre e comunque soli...
L’unica cosa che possiamo provare a fare è spiegar loro che siamo esseri fragili, caduchi, mortali. Che la vita nella forma che esperiamo quotidianamente non ci appartiene. Che abbiamo spinto troppo in là un illusorio sentimento di onnipotenza. Che se la mettiamo in termini di chi vince contro il virus non vinceremo noi.
Lo dico perché è una sensazione che conosco di persona. Mi è capito spesso negli ultimi anni di partecipare a congressi del settore in cui opero. E ogni volta che sentivo i relatori descrivere il futuro, i possibili scenari, le proiezioni, gli sviluppi delle tecnologie e di conseguenza indicare, suggerire tutto quello che si doveva fare per restare sul mercato, riuscire, crescere, fatturare di più, insomma “vincere” mi sorprendevo a pensare “ma questi lo sanno che moriranno?”. Perché l’arroganza, la tracotanza, ma direi forse l’incoscienza (nel senso di totale mancanza di consapevolezza) erano tali da provocarmi una sensazione di spaesamento, di estraniazione, di soffocamento. Qualcosa nel mezzo della pancia.
Ma in generale io già avvertivo una sensazione strana: di livellamento, di appiattimento, di massificazione, come se si stesse piastrellando, cementificando, asfaltando il mondo. Di qui una sensazione di mancanza d’aria, di mancanza di respiro. Soffocamento appunto.
Tuttavia poiché siamo umani e viviamo in questa realtà, in quelle circostanze l’angoscia era doppia: da un lato quella sopra descritta, dall’altra quella di essere io un caso patologico, di non essere all’altezza di affrontare le sfide del futuro, di non avere coraggio, di trovarmi delle scuse per non fare il mio lavoro, il mio dovere.
Insomma né là né qui. La situazione in cui mi trovo costantemente.
E poi ecco un virus che attacca i polmoni, che ci soffoca!!! La proiezione perfetta, ideale per il malessere che ci opprime, chi consapevolmente, chi inconsciamente.
Non è assurdo quello che succede, è l’altra parte che si manifesta.
Mi rendo conto che adesso dobbiamo guardare, guardare, guardare. Più dentro che fuori. E trovare un linguaggio per parlare prima a noi stessi, per spiegare a noi. Non sarà semplice perché si tratta di un linguaggio che abbiamo smarrito, seppellito direi. Un viaggio verso il nostro centro. Forse, ma non so, non so che cosa ci aspetti, possiamo provare a sentire che la vita non è solo quello che vediamo, che a dispetto delle apparenze e soprattutto del dolore che ci provoca è infinita, che noi in questa forma siamo solo ospiti e che questo non è un limite. Mentre lo formulo, mentre lo scrivo, non ho la certezza né di capire, né di accettare. Un corpo a corpo con la mia fragilità. Qualcosa sembra iniziare a sciogliersi, ma la sensazione di vergogna è ancora troppo forte.
E comunque deve essere un viaggio collettivo, oltre che individuale. Resto nel dubbio, sento molti dire che andrà tutto bene, che piano piano torneremo alla normalità (quale normalità?), vorrei che questo virus fosse sufficiente per renderci consapevoli, vorrei che bastasse questa proiezione collettiva, che l’immagine del mostro fosse sufficientemente grande per permetterci un viaggio collettivo verso dentro. La Fase 2 mi spaventa di più della Fase 1.
Non è assurdo quello che succede, anche se non sono in grado di spiegarlo. Sarebbe comunque più assurdo cercare di rimuoverlo, a qualsiasi livello.
A Bianca